Descrizione
La frase che dà il titolo al volume è di Giorgio Vasari e centra efficacemente i valori che il Rinascimento riconosceva alle ‘belle pietre’. Ma la storia artistica delle pietre policrome solo in tempi relativamente recenti ha focalizzato su di sé gli studi e le ricerche che merita, in precedenza rimasti marginali nell’ambito della cultura idealistica incline a considerarla genere minore.
Il libro percorre, nei saggi dei cinque autori, un itinerario fra i maggiori episodi della vicenda artistica che vide protagoniste le pietre colorate, e su cui molto ancora rimane da conoscere e dire.
Federico Guidobaldi presenta una ricchissima rassegna dell’opus sectile, ovvero il sofisticato genere musivo in voga nella Roma antica per pavimenti e tarsie parietali, composto da sezioni di marmi policromi dal cui assieme nascevano complessi disegni geometrici e figurali.
È da questo antico e nobile modello che il Rinascimento recuperò l’idea e la tecnica per i “commessi” di marmi o pietre dure, che trovarono nella manifattura dell’Opificio, fondata a Firenze nel 1588, l’epicentro di una produzione destinata a trionfare per tre secoli in tutta Europa, e di cui Annamaria Giusti delinea la brillante parabola. Alle materie prime, ovvero quella straordinaria “tavolozza” di marmi dalle macchie variegate che alimentarono l’arte romana e in seguito, come pezzi di recupero, la passione antiquaria delle epoche a venire, sono dedicati i saggi di Enrico Dolci, sui marmi lunensi, e di Lorenzo Lazzarini, su pietre rare provenienti da lontane province dell’Impero romano. È ancora Enrico Dolci a seguire le tracce della cultura del marmo dalla romanità all’Ottocento, argomento questo ripreso e sviluppato nei due saggi di Caterina Napoleone, che delineano le suggestive vicende del collezionismo di pietre colorate dal ’500 in poi, secondo la duplice e spesso correlata angolazione antiquaria e scientifica.
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