Descrizione
Una supplica del Collegio dei pittori di Venezia presentata al Senato il 14 luglio del 1713 si conclude con una sorta di dichiarazione di libertà: “vedendo il pittore che nella propria patria non trova l’opere corrispondenti al suo talento, procura negl’esteri paesi procurar le lor sorti”. Il passo, pur dal tono forzatamente lamentoso, sottintende anche un altro aspetto: la particolare durezza del mercato artistico veneziano. È in questo contesto che si svolge la vicenda umana di Pietro Bellotti, una di quelle ‘microstorie’, apparentemente marginali, in grado tuttavia di offrire uno spaccato inedito della vita artistica del Settecento veneziano attraverso un’angolatura originale.
Il nonno di Pietro è Bernardo Canal, lo zio è Canaletto, e suo fratello è Bernardo Bellotto. Egli fa parte, quindi, della famiglia attorno alla quale ruota l’intera storia del vedutismo a Venezia. Come tutti i membri della sua famiglia è un artista precoce. L’inizio è promettente: giovanissimo accompagna il fratello nei suoi primi viaggi nella Penisola inserendosi nel milieu di collezionisti che ruotano attorno a Canaletto. Questo meccanismo, in apparenza perfetto, ben presto si inceppa. Egli sembra divenire un corpo estraneo alla famiglia tanto da troncare all’improvviso ogni rapporto. La sua sarà una strada di non ritorno.
L’arco cronologico della sua produzione è molto esteso. La datazione certa dei suoi dipinti va dal 1742 al 1779, ma è plausibile che egli abbia lavorato fino alla presunta data di morte fra il 1804 e il 1805. In questo lungo periodo il suo svolgimento stilistico non presenta particolari cambiamenti e rimane cristallizzato, impeccabile nei suoi momenti migliori, alle forme codificate nella sua giovinezza.
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