Descrizione
I soffitti della fantasia compongono, direi, un poemetto per immagini; le condizioni classiche della scrittura visiva, le troviamo precise, esemplari: la luce (quella netta, mediterranea), lo scorcio (gli elementi che nelle case ci stanno sopra la testa, come quiete divinità pagane, a cui dedichiamo poca attenzione specifica, molta attenzione inconscia e sensoriale), la fantasia infine (quella pugliese, così nutrita di miracoli terrestri, di creature celesti e stemmi, marginati dalle strutture, quasi a testimoniare che anche il Paradiso ha bisogno di fonde radici, di humus).
Con questo poemetto, suddiviso in tanti capitoli che corrispondono a stati ambientali, Accolti fa opera di miniaturista; all’incontrario tuttavia, nel senso che l’illustrazione è data, qui, dalla nota scritta, con la saggezza del Salimbene e l’estro di uno Sbarbaro, mentre il testo è l’immagine. Quale lo scopo? Di avvertirci che, in questo tempo ingrato, noi la testa la alziamo troppo poco, e troppi soffitti non della fantasia, ma del condizionamento oscuro, ci separano da quel regno del meraviglioso, che la Storia ci ha socchiuso intorno, invitandoci nelle sue regioni.
I più intenderanno l’opera come specialistica, invece è favolistica, e racconta, attraverso la magia delle cose, i tempi di una civiltà, di un’educazione, di una classe.
Quando Accolti si avventura, con buona mano di scrittore, a suggerire i «deliri di nastri cangianti dal lillà alle infinite gradazioni di rosa e dei celesti»
(un esempio fra i tanti), entra in una dimensione dell’evocativo in cui, totem e insieme pietra miliare, collocherei Savinio, se qualcosa – il sottile fascino della scrittura, appunto, – non ci spingesse oltre: alle metamorfosi ovidiane.
Ecco, siamo di fronte a un libro di metamorfosi, dove il piacere del testo, per dirla con Barthes, è duplice: ottico e decantato per parola, col nitore di un Savinio. Quali vibrazioni di infanzia, di pagina in pagina, quale mito luminoso di un fanciullo che, faccia all’insù, pone nel soffitto il misterioso limite delle avventure che dalla vita si aspetta.
A me piace l’Accolti che fa, delle didascalie, una serie di versetti di una religione che ben conosce, e pratica, quella del gusto in re; un passaggio, in particolare, m’incanta: «la sublime creatura giace assopita, i capelli neri sono morbidi e sensuale il corpo… Rigogliosi papaveri sono presenti per effondere aromi ed una lampada di Aladino è pronta per ogni evenienza».
E cosa sono questi soffitti, se non altrettante lampade di Aladino pronte per le evenienze del sogno che si distanzia da noi di quel tanto, affinché creiamo con lui l’invenzione della vita?
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